Come fratelli – Abang e Adik

Fu Dou Ching Nian


01/11/2024 - 02/11/2024

Proiezione unica ore 21

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Regia: Jin Ong
Interpreti: Wu Kang Ren - Abang, Jack Tan (IV) - Adik, Serene Lim - Jia En
Origine: Malesia
Anno: 2023
Soggetto:
Sceneggiatura: Jin Ong
Fotografia: Kartik Vijay
Musiche: Ryota Katayama
Montaggio: Mun Thye Soo
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 115


Niente pirati della Malesia. L’esordiente Jin Ong, produttore musicale e cinematografico, sceglie il set di un quartiere ai margini di Kuala Lumpur, Pudu Pasar, formicolante di gente intorno alle bancarelle di un gigantesco mercato. È lì che troviamo Abang, l’attore e modello taiwanese Wu Kan-Ren, intento a macellare polli, già metafora di crudeltà esistenziale. Luce e colori caldi e avvolgenti, quasi tattili, paragonati da un critico malese al curry piccante. L’altro, Adik, interpretato dal can tante pop Jack Tan, mostra subito i segni del vizio: i capelli biondo rossicci, che torneranno neri nel momento della redenzione. È un piccolo intrigante, gigolò quando serve, e se la fa con la malavita per lo spaccio di carte di identità false. Il regista illumina la condizione assurda di malesi privi di documenti, apolidi a casa loro. Il titolo originale, Abang Adik, vuol dire “fratello maggiore e fratello minore”, ma i due non lo sono affatto, in comune solo la condizione di non-uomini, socialmente inesistenti. Una corrente erotica, infatti, attraversa il ragazzo muto e l’altro, stretti in un amore che va verso il martirio. In mezzo, una prostituta trans dal nome esplicito, Money, e una dolce ragazza alla ricerca di parenti per aiutare i senza nome. È l’attivista di una ONG che, nonostante replichi il nome del regista, è vista come un’istituzione fastidiosa. Il film a metà dell’avventura concitata spegne l’azione e si fa solenne preghiera virata in cromatismi freddi. Monologo disperato con il linguaggio dei segni di grande intensità. Il film ha vinto al Far East Film Festival 2023 i tre premi principali.

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È possibile vivere, se non addirittura sopravvivere, in una città che calpesta e rifiuta i suoi stessi cittadini? Sembra essere questo il conflitto principale di Come fratelli – Abang e Adik, il propulsore che mette in moto i percorsi dei due giovani protagonisti, fino a schiacciarne ogni sogno, idea o emozione. La Kuala Lumpur in cui sono nati e cresciuti è a tutti gli effetti un inferno urbano, fondato su un reticolo di storie, violenze, culture e disparità sociali che condanna chi vive al suo interno ad un’esistenza vuota, e quindi ingiusta. E non è un caso, allora, che ai due fratelli (ma è davvero così?) non resti che navigare sulla superficie di un mondo privo di coordinate. In bilico tra la legalità e l’illecito. Tra l’istinto all’umanità e la disperazione di chi, come loro, respira dal basso quelle lugubri atmosfere. Ciò che tiene in vita i due giovani uomini di Come fratelli – Abang e Adik è proprio il legame d’affetto che li lega, per quanto l’uno sembri l’opposto dell’altro. Abang (Kang Ren-wu) è la sintesi di tutto quel che il fratellino acquisito Adik (Jack Tan) avrebbe voluto essere: è uno stacanovista, ha la capacità di superare in silenzio (d’altronde è sordomuto) ogni affronto che la dura vita di quartiere gli pone davanti, e rifiuta sin da subito il facile richiamo della criminalità. Adik al contrario è (almeno in apparenza) il più vulnerabile dei due, condizionato com’è dalla frenesia di una città che obbliga i suoi abitanti a trovare delle vie alternative di sopravvivenza. Lo vediamo infatti trafficare in passaporti falsi, ricevere pagamenti per delle prestazioni sessuali e intrattenere rapporti con la malavita locale. Per lui e il fratello, in quanto privi di documenti ufficiali malgrado siano a tutti gli effetti malesi, contano solo i piccoli atti di resistenza, quei gesti che li salvino dal caos di una metropoli così impossibilitata a gestire le numerose anime (culturali, etniche, politiche) che la attraversano. In un luogo dove ogni “cittadino” può ritagliarsi il proprio spazio d’azione. Ma in cui nessuno si sente veramente a casa. In tutta la prima metà di Come fratelli – Abang e Adik è il rapporto uomo-spazio a dominare l’intreccio. Nulla per i due protagonisti accade al di là del terrificante orizzonte urbano in cui agiscono. Al punto che Jin Ong (qui al suo debutto) mostra una grande lucidità nell’intrecciare traiettorie e vissuti dai riflessi struggenti, proprio perché confluiscono in una realtà che fagocita chiunque cerchi di sfidare o reagire alle sue diaboliche configurazioni. (…) Ma più aumentano le difficoltà, maggiore è il livello di intimità a cui giungono i due fratelli. Ed è in questo spazio interno, personale, lontano dalle turbolenze della realtà esterna, che il film prospera. Fino a tormentarci con una visione di fratellanza che abbatte ogni difesa. Tanto per i protagonisti, quanto per chi guarda.

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