L’abbaglio


11/04/2025 - 12/04/2025

Proiezione unica ore 21

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Regia: Roberto Andò
Interpreti: Toni Servillo - Vincenzo Giordano Orsini, Salvo Ficarra - Domenico Tricò, Valentino Picone - Rosario Spitale, Tommaso Ragno - Giuseppe Garibaldi, Giulia Andò, Pascal Greggory, Leonardo Maltese, Andrea Gherpelli, Daniele Gonciaruk, Giulia Lazzarini, Filippo Luna, Vincenzo Pirrotta
Origine: Italia
Anno: 2025
Soggetto: Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
Sceneggiatura: Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
Fotografia: Maurizio Calvesi
Musiche: Michele Braga, Emanuele Bossi
Montaggio: Esmeralda Calabria
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 128


Dopo La stranezza, Roberto Andò consolida la sua via, in apparenza semplice ma in realtà originale e impervia, di un cinema popolare e raffinato, spettacolare e a suo modo didattico: per questo a L’abbaglio c’è da augurare lo stesso successo del film precedente. È come se nel dialogo col pubblico il regista avesse trovato un antidoto a ogni intellettualismo, una vena genuina e felice, e insieme la possibilità di un confronto diretto e ironico con la propria tradizione. L’opera cinematografica di Andò è in fondo un lungo colloquio a distanza con la letteratura siciliana, soprattutto Pirandello e Sciascia. Qui è omaggiato Il quarantotto, racconto sciasciano coevo di Il Gattopardo, da cui provengono le prime battute di Toni Servillo («credo nei siciliani onesti, che soffrono e si rodono dentro»). Però il discorso politico è sullo sfondo, così come il tema della “rivoluzione mancata”, anche se il disincanto della visione del Risorgimento di Verga, De Roberto e Lampedusa fa capolino dietro le peripezie picaresche. Protagonisti sono due siciliani (Ficarra e Picone) che si imbarcano per motivi poco politici tra i Mille e subito disertano: dopo varie peripezie, finiranno arruolati in una manovra diversiva guidata dal colonnello Orsini (Servillo) per fingere una ritirata e agevolare l’entrata di Garibaldi a Palermo. In due ore e un quarto il film segue un racconto che poi diventa un altro e un altro ancora e non annoia, con cambi di tono armoniosi, un Servillo perfetto e una travolgente coppia Ficarra-Picone che, rispetto al film precedente, aggiunge qualche tonalità più crepuscolare e malinconica.

Emiliano Morreale, FilmTV

Nel maggio 1860, prima di entrare a Palermo, Giuseppe Garibaldi affidò a Vincenzo Giordano Orsini il compito di guidare un piccolo gruppo dei Mille verso l’interno dell’isola, fingendo una ritirata. A questo episodio poco noto si rifà L’abbaglio. Quanto all’Eroe, Roberto Andò e i suoi cosceneggiatori Ugo Chiti e Massimo Gaudioso non vanno molto oltre l’immagine fissata nella nostra memoria, con il cavallo e il poncho. In primo piano portano invece Orsini (Toni Servillo, misurato e intenso), nobile siciliano e patriota italiano. Accanto a lui immaginano due antieroi malconci: Domenico Tricò, artificiere che torna nella terra da cui è scappato quindici anni prima, e Rosario Spitale, bugiardo e baro, in fuga dal Veneto per problemi con la giustizia (Salvatore Ficarra e Valentino Picone, bravissimi). I due disertano già a Marsala. Domenico si incammina verso casa e verso l’amata di un tempo. Rosario non ha una casa né un’amata da cui tornare, e insiste per seguirlo. Sequenza dopo sequenza, la sceneggiatura abbandona sia la Leggenda sia la Storia dei Mille, e inventa la storia minima dei fuggitivi. L’effetto è l’emersione di una prospettiva critica, libera da preoccupazioni agiografiche. Una prospettiva, ancora, che illumina di un senso inatteso l’impresa da cui è venuta l’unità del nostro Paese, ma che finisce anche per illuminare difetti e pregi di noi che, con maggiore o minore dignità, maggiore o minore soddisfazione, lo abitiamo. Il cammino di Domenico e Rosario, il loro e quello di molti sulla loro strada, è permeato di cinismo, di codardia, di ipocrisia. Ma anche di idealità e di coraggio pagati con il rischio e il sangue. Ed è però sorretto da inventiva e vitalità, per quanto più di una volta perfide e sleali. Il modello sembra quello di La grande guerra (Mario Monicelli, 1959), con i due antieroi che, ahiloro, si sbilanciano e fanno gli eroi. Ma è un’impressione – forse un abbaglio –, che la sceneggiatura capovolge in un metaforico redde rationem nazionale. Come accade quando all’inventiva e ai suoi eccessi sono imposte regole e trasparenza.

Roberto Escobar, Il Sole 24 Ore