
Ainda Estou Aqui
21/03/2025 - 22/03/2025
Proiezione unica ore 21
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Regia: Walter Salles
Interpreti: Fernanda Torres - Eunice Paiva, Fernanda Montenegro - Eunice Paiva anziana, Selton Mello - Rubens Paiva, Valentina Herszage, Dan Stulbach, Maeve Jinkings - Dalva Gasparian, Humberto Carrão
Origine: Brasile, Francia
Anno: 2024
Soggetto: libro "Ainda Estou Aqui" di Marcelo Rubens Paiva
Sceneggiatura: Murilo Hauser, Heitor Lorega
Fotografia: Adrian Teijido
Musiche: Warren Ellis
Montaggio: Affonso Gonçalves
Produzione:
Distribuzione:
Durata: 137

Saper affrontare i drammi della Storia senza perdere la fiducia nel domani. Questa l’ambizione alta del film di Walter Salles Io sono ancora qui che ripercorre l’odissea psicologica di Eunice Facciolla Paiva, moglie dell’ex deputato brasiliano Rubens Paiva, fatto sparire nel 1971, in piena dittatura militare, e il cui arresto fu a lungo addirittura negato dalle autorità. Uno dei tanti delitti commessi in quegli anni tragici, che la sceneggiatura di Murilo Hauser e Heitor Lorega (dal libro di memorie del figlio del rapito, Marcelo Rubens Paiva) centra sulla figura di chi dovette affrontare quella mancanza – la moglie – piuttosto che sul tragico destino di chi fu sequestrato. E che la regia di Salles ambienta magnificamente in una quotidianità tanto più dura quanto più inaspettata e dolorosa. È la fine del 1970, il regime dei «Gorillas» che aveva preso il potere nel 1964, sta vivendo i suoi momenti di maggior fortuna economica e la borghesia progressista cerca di barcamenarsi in una società apparentemente tranquillizzata, ma conscia del soffocante regime che guida il Paese. Nella casa dei Paiva, affacciata sulla spiaggia di Rio, la vita trascorre calma: Rubens (Selton Mello) era un deputato del partito laburista costretto all’esilio nel 1964, poi rientrato dopo nove mesi per riunirsi alla moglie Eunice (Fernanda Torres) e ai suoi cinque figli: le due giovinette Veroca detta Vera (Valentina Herszage) e Eliana (Luiza Kosovski), l’adolescente Babiu (Cora Mora) e i più piccoli Nalu (Bárbara Luz) e Marcelo (Guilherme Silveira). Il capofamiglia ha ripreso la sua attività di ingegnere civile, la moglie bada alla numerosa famiglia e l’aria cupa che si respira intorno a loro viene esorcizzata nelle serate con gli amici. Ma che ci sia un pericolo che incombe non sfugge a nessuno, tanto da mandare Vera a frequentare l’università a Londra. E il 20 gennaio 1971, alcune persone, guidate da un inquietante «parapsicologo» (Luiz Bertazzo), chiedono a Rubens di seguirle in una caserma «per rispondere ad alcune domande». Per fare lo stesso, il giorno dopo, con Eunice e la figlia Eliana. Ed è qui che comincia l’odissea della donna, liberata dopo dodici giorni (la figlia dopo uno solo) e lasciata nella più assoluta ignoranza di quello che è successo al marito. Nonostante l’isolamento e il cappuccio in testa, Eunice ha sentito le urla di chi era torturato, ha visto gli schizzi di sangue sul pavimento dell’ufficio dove era interrogata, ha vissuto sulla sua pelle la condizione di chi non sa cosa può accadere l’indomani. Lei ha quattro figli a cui badare, deve calmare le paure dei più piccoli e tenere a freno la rabbia delle maggiori, ha un’economia familiare da mandare avanti, ma soprattutto vuole scoprire la verità sulla sparizione del marito. Si convincerà presto che la speranza di rivederlo è vana, ma la determinazione per costringere lo Stato ad ammettere ufficialmente quello che è successo (e cioè che è stato ucciso dai torturatori) non verrà mai meno. Ed è su questa testardaggine, su questa decisione di non mollare mai, che Walter Salles ha costruito il suo film. Avrebbe potuto drammatizzare maggiormente la tortura e la fine di Rubens Paiva, farne cioè un personaggio in qualche modo eroico. E invece tutto è concentrato su Eunice, sulla sua cocciutaggine e la sua capacità di affrontare in silenzio ma con fermezza ogni problema, che si tratti del blocco dei conti in banca o della ricerca di una qualche prova dell’arresto di Rubens o ancora dell’impegno a tenere unita la famiglia. Una madre coraggio, armata solo della propria calma tranquilla, a cui Fernanda Torres (già premiata con il Golden Globe e in corsa per l’oscar) regala una delle più intense prove della sua lunga e applaudita carriera e che nelle ultimissime scene, quando è ormai vecchia e bloccata dall’alzheimer (morirà nel 2018, dopo una vita in difesa dei più deboli e dei diritti calpestati degli indigeni amazzonici) viene sostituita in poche ma commoventi inquadrature dalla madre Fernanda Montenegro, anche lei in passato celebre attrice brasiliana. L’ambizione alta del regista è quella di provare ad affrontare i drammi della Storia senza perdere la fiducia nel domani.
Paolo Mereghetti, il Corriere della Sera